Percorso della memoria
1313
Giovanni era nato all’inizio dell’estate del 1313, probabilmente a Firenze da Boccaccio di Chellino e da madre ignota.
Le varie supposizioni a carattere specificatamente letterario che lo vogliono nato a Parigi, dove il padre, agente della potente compagnia mercantile fiorentina dei Bardi, si trovava tra il 1310 e il 1313, o a Certaldo, paese della famiglia, sono state confutate dai più recenti studi critici sia sui testi giovanili che sulle testimonianze dei contemporanei.
1313 - 1325
E’ dunque a Firenze che Giovanni trascorre tristemente l’infanzia e la fanciullezza insieme al padre, che lo aveva riconosciuto, e a Margherita de’ Mardoli, sposata da quest’ultimo intorno al 1320, abitando prima nel sestiere popolare di S. Pier Maggiore e poi in quello commerciale di S. Felicita in Oltrarno.
Sempre a Firenze, Giovanni inizia l’apprendimento scolastico sotto la guida di Giovanni Mazzuoli da Strada che lo indirizzerà alle “prime nozioni e impressioni dantesche”, che si rafforzeranno lungo tutta la vita in una venerazione che costituisce uno degli elementi fondamentali dell’appassionato credo poetico e umano del Boccaccio.
1325 - 1334
Ancora adolescente Giovanni viene mandato a Napoli (probabilmente nel 1327) a far pratica mercantesca e bancaria. Un’attività che, per quanto indesiderata, lo mette a contatto con una realtà multiforme, fatta di aristocratici e popolani, di avventurieri e di impostori, di gente di terra e gente di mare, che feconderà in lui curiosità intellettuale e spirito di osservazione, e che si rifletterà in alcune sue opere, quali il Filocolo, la Fiammetta e varie rime. Ma sono soprattutto le credenziali del padre, responsabile della succursale napoletana dei Bardi, “consigliere e ciambellano” del re Roberto, a introdurlo alla corte angioina presso la quale può finalmente dedicarsi alla vocazione letteraria frequentando intellettuali di primo piano come il cronista e trattatista Paolino da Venezia, il bibliotecario di re Roberto, Paolo da Perugia, l’astronomo Andalò da Negro.
1334 - 1340
Ed è da questo contesto galante e spensierato che emerge la figura di Fiammetta, favoleggiata figlia del re di Napoli Roberto d’Angiò, sulla quale Giovanni proietterà letterariamente le proprie esperienze amorose e le sofferte emozioni giovanili. Fiammetta domina, direttamente o indirettamente, le altre opere del Boccaccio, fino alla vigilia del suo capolavoro.
Risalgono a questo periodo la Caccia di Diana (1334?) primo poemetto che celebra l’aristocratica società napoletana in una cornice mitologica; il Filostrato (1335?), in cui, sullo sfondo mitico dell’assedio di Troia, Troiolo effonde prima la sua gioia amorosa e poi il suo lamento per la lontananza e il tradimento di Criseida; il Filocolo, la romanzesca narrazione delle avventure di Florio e Biancifiore, che sarebbe stato scritto proprio a richiesta di Fiammetta verso il 1336, ricca di anticipazioni narrative del Decameron; il Teseida, composto verso il 1340-41, forse almeno in parte a Firenze, per narrare nel quadro di epiche gesta di Teseo l’amore di Arcita e Palomeone per Emilia; la Comedìa delle Ninfe (intitolata Ninfale d’Ameto da copisti ed editori quattrocenteschi); l’ Amorosa Visione, l’una del 1341-42 in prosa intercalata di versi, l’altra del 1342-43 in terzine dantesche e l’Elegia di Madonna Fiammetta (composta fra il 1343 e il 1344), primo romanzo psicologico moderno.
Così quasi tutta l’opera giovanile del Boccaccio si svolge in un’atmosfera autobiografica, dominata da esperienze d’amore e entusiasmi culturali.
1340 - 1347
Nel 1340 la crisi della compagnia mercantile dei Bardi, provocata dalla forte esposizione finanziaria verso il re d’Inghilterra e il suo impegno nella Guerra dei Cento Anni, costringe il padre Chellino a richiamare a Firenze Giovanni che lascia Napoli con profondo rimpianto. Del resto Firenze, oltre a sopportare ancora le conseguenze dell’alluvione del 1333, è in preda a profondi contrasti politici e sociali, ai quali si aggiunge ora anche la diffusione della peste.
Ma il disagio del ritorno sembra lentamente attenuarsi e in un clima di maggiore serenità Boccaccio può dedicarsi all’amorosa storia “molto antica”, la favola di Africo e Mensola (un pastore e una ninfa alla cui morte si deve il nome dei due torrenti affluenti del fiume Arno), e alla trascrizione poetica dei miti e delle leggende delle origini di Firenze, le varie “Croniche”, con cui costruisce la cornice storica del Ninfale Fiesolano (1344-46?), l’opera che più di tutto segna una significativa e decisiva svolta letteraria e artistica rispetto alle esperienze precedenti e che anticipa il suo capolavoro, il Decameron.
1348
Nel 1348 il Boccaccio è di nuovo a Firenze dove assiste alla peste descritta nell'introduzione al Decameron e fra il 1349 ed il 1351 dà forma definitiva alla sua più celebre opera.
La Peste Nera che ha colpito l’Italia e l’Europa è il fondale sul quale si disegna la vicenda narrativa ma, allo stesso tempo, diventa, per Boccaccio, l’occasione per compiere quel definitivo passaggio “dalla giovinezza spensierata e mondana al raccoglimento riflessivo della maturità”.
Il Decameron, capolavoro della narrativa occidentale, diretto ad una nuova tipologia di lettori si diffuse in tutta Europa sia in originale che in varie traduzioni ed ebbe successo immediato già pochi anni dopo la morte del suo autore.
1349 - 1353
Morto il padre nel 1349, Giovanni deve occuparsi della famiglia.
Tuttavia ormai è un personaggio illustre e come tale può essere utile e rappresentativo della città. Ed egli accetta gli incarichi che Firenze gli affida, considerandoli non un onore meritato o un mezzo per conquistare concrete prebende, ma come un compito da assolvere, quale devoto cittadino della Repubblica. E’ facile perciò immaginare la sua commozione quando si reca a Ravenna per consegnare, da parte dei capitani della Compagnia d’Orsanmichele, dieci fiorini d’oro alla figlia dell’Alighieri, divenuta suor Beatrice nel monastero di santo Stefano dell’Uliva.
Nelle epistole di questi anni e nella stessa concezione della Genealogia deorum gentilium, che risale circa al 1350, il tono meditativo di fronte alle vicende umane si fa sempre più intenso ed al centro degli interessi del Boccaccio.
Risale a questo periodo l'incontro con Petrarca, che conobbe di persona nella campagna fiorentina mentre il poeta si recava a Roma per il Giubileo del 1350. Nella primavera dell'anno successivo trascorse alcune settimane a Padova nella casa del poeta. La grande ammirazione per questa grande personalità indusse il Boccaccio a trascriverne molte composizioni e a tracciarne un profilo biografico dal titolo: De vita et moribus domini Francisci Petracchi.
Nel gennaio 1351 viene eletto camerlengo del Comune e in febbraio è scelto come rappresentante della Repubblica nelle trattative con la regina Giovanna di Napoli per l’acquisto di Prato. Sempre a questi anni risalgono il Buccolicum carmen (1361-66) che raccoglie egloghe che si riferiscono ad avvenimenti politici del tempo, il De mulieribus claris (1361-75?), ossia le vite di eroine dell'antichità e del Medioevo e il De montibus, silvis, fontibus (1355-74?) inventario della cultura geografica classica.
1354 – 1368
Proseguono gli onori e gli incarichi politici fra i quali, nel 1354 e nel 1365, le ambascerie ad Avignone presso i pontefici Innocenzo VI e Urbano V. La rovina dei Bardi e la generale crisi fiorentina condizionano pesantemente la vita del Boccaccio che, per far fronte alla ristrettezze economiche in cui versa, cerca di trovare una sistemazione alla Corte Angioina. Ma nonostante le promesse e l'amicizia con Niccolò Acciaioli, gran Siniscalco del Regno, l'accoglienza fu veramente disastrosa e deludenti i due soggiorni a Napoli del 1355 e 1362. Né lo consolano l’ospitalità del giovane aristocratico Mainardo de’ Cavalcanti cui Boccaccio dedicherà, riconoscente, il De Casibus virorum illustrium, o la tardiva resipiscenza dell’Acciaiuoli che lo richiama presso di sé a Baia ma che si trasforma in ulteriori delusioni, che si riverbereranno nella risentita critica verso lo stesso Acciauoli, come si legge in una lettera all’amico comune Francesco Nelli.
Continuano sempre più fitti i contatti epistolari con il Petrarca, alla cui influenza ed al profondo cristianesimo si deve la trasformazione spirituale che avviene in Boccaccio.
Già, infatti, parecchi anni prima il Boccaccio aveva chiesto e ricevuto gli ordini minori; già verso il 1361-62 si era ritirato come in un eremo a Certaldo, stanco della vita cittadina e dei continui turbamenti politici di Firenze.
Da questo momento, la casa di Giovanni Boccaccio diventa uno straordinario centro di cultura preumanistica, un cenacolo frequentato dai Salutati, dai Villani, dai Marsili, i fedeli del circolo agostiniano di S. Spirito. Dal suo scrittoio si diffondono per l’Italia e per l’Europa le scoperte di autori come Varrone e Marziale, Tacito e Apuleio, Seneca e Ovidio. E’ da qui che, imparando il greco con il rozzo e irascibile monaco calabrese Leonzio Pilato, Giovanni afferma l’ideale legame tra le due grandi culture dell’antichità: quella latina e quella ellenica.
Proprio allora scrive la famosa Epistola consolatoria a Pino de' Rossi (un amico esiliato per vicende politiche 1361-1362), compone l'aspra invettiva contro le donne inserita nel Corbaccio (1366) elabora in tre diverse edizioni (probabilmente intorno al 1351,1360, 1373) il Trattatello in laude di Dante. E' proprio allora che si impegna a rielaborare il Decameron nella sua forma definitiva.
1368 - 1375
In questi ultimi anni il Boccaccio raccoglie e conclude gli ultimi libri della Genealogia deorum dove si trova esposta la sua dottrina estetica: una sintesi delle grandi idee poetiche del Medioevo e delle istanze innovative degli uomini di fine secolo. L'ultima opera del Boccaccio sono le Esposizioni della Commedia dantesca che egli stesso accetta di fare pubblicamente nella chiesa di S. Stefano di Badia nel 1373 e 1374 a seguito di una delibera della Signoria. Purtroppo la stanchezza e la non più buona salute gli impedirono di proseguire oltre il XVII Canto dell’Inferno. Anche se le ennesime illusioni dell’ultimo viaggio a Napoli (1370 – 71) non tardano a svanire, la quiete certaldese della casa dove sin dagli anni 1361 – 62 Giovanni si era ritirato, stanco della vita fiorentina e dei persistenti sconvolgimenti politici di una città, sembra confortarlo e sostenerlo negli ultimi “appassionati atti di fede”, come la trascrizione più impegnata del Decameron (l'autografo è ora alla Biblioteca di Berlino) e la rielaborazione accuratissima della Genealogia.
Ed è a Certaldo che si spenge, in solitudine, seguendo di poco il fraterno amico Petrarca, la notte del 21 dicembre 1375.
Estratto da: Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Vittore Branca. Milano, Mondadori, 1998. Vol. I, pp. IL – LIX.